Condivisione, responsabilità, restituzione alla società e diffusione della cultura digitale. Concetti il cui significato è radicalmente cambiato e, in alcuni casi, è nato, nel giro di pochi anni, spesso influenzando le strategie di molte aziende. Ho avuto il piacere di approfondire questi temi con Rudy Bandiera, docente, giornalista e blogger. Qui di seguito lo scambio di battute avuto durante una breve intervista.
“Condivide et impera” è il titolo del tuo nuovo libro. C’è un “giusto” approccio alla condivisione?
Fino a poco fa, ti avrei risposto di no, non esiste un giusto approccio. La condivisione esiste o non esiste. Recentemente invece ho avuto modo di ripensarci. C’è sempre un approccio diverso alle cose e mille modi diversi di interpretarle. Per me condividere significa dare qualcosa senza privarsene, come se fosse un dono. Quando si fa un regalo, si pensa prima di tutto all’utilità che può avere il nostro dono. Sono arrivato quindi a pensare che il giusto approccio alla condivisione sia legato al concetto di utilità. Se una condivisione non è utile, non è giusto condividere.
Fino a pochi anni fa, in azienda avere un’informazione voleva dire avere potere. Trattenere l’informazione era sinonimo di fikaggine (come dici sempre tu). Questo paradigma è cambiato totalmente nel giro di pochi anni. Come lo spieghi?
Sono d’accordo con questa riflessione e credo che il web abbia contribuito molto a questo cambio di paradigma. Il motivo è che oggi non basta più dire di essere bravi. Oggi bisogna dimostrarlo. E qual è l’unico modo, se non condividere quello che facciamo, le informazioni a cui abbiamo accesso, i nostri successi?! Anche il potere oggi va dimostrato.
Ho notato che il tuo libro non è disponibile in formato digitale. Non è una contraddizione per te che hai fatto della comunicazione digitale il fondamento della tua vita?
Quando ho scritto il mio primo libro, “Rischi e opportunità del Web 3.0 e delle tecnologie che lo compongono”, dopo una settimana era già disponibile su Torrent in forma “pirata”. Mettere a disposizione solo il formato cartaceo vuol dire tutelare, almeno all’inizio, un prodotto editoriale e il suo autore. Non escludo la produzione di un e-book. Il discorso è solo rimandato.
Quindi come possono i tuoi lettori condividere il tuo contenuto in maniera social e digital? Te lo chiedo perché, personalmente, spesso condivido libri, usando foto e taggando gli autori. Qual è la tua esperienza?
Esattamente quella descritta da te. I miei lettori fanno spesso selfie con il libro e postano la foto, taggandomi e scrivendo un commento. Da sempre comprare un libro vuol dire credere in quella storia e nel suo autore. Si è fieri di mostrarlo. Un libro è una sorta feticcio, messo ben in mostra sui nostri scaffali. Guardare la nostra libreria ci ricorda chi siamo e il percorso che abbiamo fatto.
Restiamo in tema digitale, ma cambiamo focus. Parliamo di privacy e GDPR: qual è il punto d’incontro tra consumatore/persona e fornitore/azienda? Esiste un approccio win-win?
In tema di privacy siamo arrivati su un crinale: dobbiamo decidere se andare indietro, restando ancorati al vecchio concetto di privacy, inteso come segretezza, o cambiare mentalità e fare un salto. La vera sfida non sarà tenere segrete le informazioni, ma capire chi e come le gestisce. Questo salto, questo cambio di mentalità, non sarà mai possibile senza un’adeguata educazione digitale. Ed è anche responsabilità delle aziende contribuire allo sviluppo e alla diffusione della cultura digitale.
E cosa possono fare le aziende? Qual è la sfida per loro?
Comunicare i vantaggi. Se un’azienda chiede i dati dei propri clienti e prospect, deve chiaramente far percepire il valore del servizio erogato proprio grazie a quei dati. Pensa solo ai navigatori che usiamo oggi tramite app sul cellulare. Conoscono il tuo percorso da casa a lavoro, sanno quando vai al ristorante o in viaggio, ma possono anche avvisarti quando c’è traffico e indicarti la strada alternativa più breve.
Questo concetto si lega a qualcosa in cui credo fortemente: la restituzione alla società. Siamo in una nuova epoca etica. Le aziende hanno il dovere di concentrarsi su molte variabili che prescindono dal solo fatturato, ma che impattano sul tessuto socio-economico nel quale agiscono. La restituzione e l’educazione digitale sono sicuramente due importanti fattori da considerare per quelle aziende che vogliono davvero differenziarsi rispetto ai competitor.
A proposito di diffondere la cultura digitale, sul prossimo numero di itasascom avremo un’intervista con Marco Icardi, CEO SAS Italia, e Agostino Santoni, CEO Cisco Italia. Gli abbiamo chiesto di spiegarci in termini molto semplici perché il connubio Analytics e IoT è diventato “the new normal”. Quali possibili scenari vedi a seguito della diffusione di Intelligenza Artificiale, IoT e Analytics?
Sicuramente il nascere di nuove professioni. Oggi si parla tanto di bot e chatbot, ma se riuscissimo davvero a interpretare la domotica nella sua interezza, i dialoghi che ci sono tra tutti gli oggetti connessi, nascerebbe una nuova professione: l’interprete di bot. Ma come faccio a spiegarlo al comune cittadino? Le aziende hanno bisogno di trovare chi per loro riesca a comunicare in maniera semplice anche ai non addetti ai lavori. Nel mio libro c’è un capitolo in cui parlo della “Curva di adozione di Rogers”. Secondo Rogers, quando si parla di innovazione (non solo tecnologica), esiste un 2,5% della popolazione chiamata “innovatori”, in grado di percepire e adottare il cambiamento e l’innovazione prima di chiunque altro. Se gli AD delle aziende sono in grado di parlare SOLO a quel 2,5% di innovatori, perderanno il filo comunicativo con il resto della popolazione che non è in grado di capire quel linguaggio.
Hai parlato di due concetti, restituzione e responsabilità. Due temi che stanno cambiando significato in questa era di trasformazione digitale. La restituzione si arricchisce e diventa etica. La responsabilità diventa sociale. Sono due temi legati alla divulgazione delle informazioni?
Assolutamente sì. Chi ha accesso alle informazioni prima degli altri e riesce a condividerle con semplicità e concretezza ha vinto la sfida. La divulgazione sta tornando di moda. Un precursore in questo è stato sicuramente Piero Angela, che ha fatto innamorare tanti telespettatori di concetti complessi, quali storia antica e scienza, proprio perché li descrive in maniera estremamente chiara. A questo proposito, Luciano De Crescenzo dice che “la divulgazione è il treppiede che ti serve per arrivare ai libri in alto”.
Concludiamo con un tema a te vicino e parliamo della polemica attualmente in corso su blogger e influencer pagati dalle aziende per fare video, pubblicare foto e scrivere articoli. Chiara Maci, una delle più importanti food blogger italiane, ha recentemente postato uno sfogo su Facebook sul suo diritto di lavorare con aziende sponsor pur mantenendo la sua libertà di scelta e ultima parola. Com’è possibile tutelare il consumatore finale e i follower in questo scenario?
Un’influencer come Chiara Maci diventa tale proprio perché sviluppa una forte credibilità verso la sua audience. Il successo dei blogger e degli influencer si basa proprio su questo. Quindi il loro primo interesse è divulgare concetti, postare foto o articoli nei quali credono e verso i quali hanno fiducia. Se pubblicizzassero un prodotto/servizio scadente, la loro credibilità verrebbe meno. E di conseguenza il loro successo.