Quel che resta dell’esattezza: come sfidare l’intelligenza artificiale

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“Un uomo può considerarsi veramente soddisfatto solo quando sa di aver servito appieno il suo padrone”
(cit. Mr. Stevens, “Quel che resta del giorno” di Kazuo Ishiguro)

Parecchi anni fa, ai tempi dei miei studi universitari, mi occupavo di teatro. Un giorno, nel ripetere un esercizio legato all’interpretazione di un personaggio, ho chiesto al mio insegnante se la mia azione scenica fosse stata “perfetta”. Mi spiegò come nel teatro non esista la parola “perfezione” ma gli debba essere preferito il concetto di “esattezza”.

Un attore non è perfettamente Romeo o Caligola ma è esattamente l’immagine del personaggio che emerge dall’interpretazione personale che ne dà attraverso la “gabbia” di un testo scritto magari più di un secolo prima. Per questa ragione non esisterà mai un solo modo di interpretare il melanconico Zio Vanja di Čechov, ma tante “esatte” interpretazioni di questo. Questo è il motivo per cui nel teatro inglese si preferisce il termine “to play”, giocare, piuttosto che re-citare. L'attore come il bambino. Chi d’altronde è più vero e esatto di un bambino che gioca a fare un personaggio?!

Esattezza è proprio il concetto cardine che vorrei esplorare.

Schiavi dell'esattezza

C’è un bellissimo film di James Ivory, tratto da un altrettanto bellissimo libro di un raffinato giocoliere di parole giapponese nato a Nagasaki, Katsuo Ishiguro, che si intitola “Quel che resta del giorno”. Il film, oltre a essere interpretato da mostri sacri del rango di Antony Hopkins e Emma Thompson riesce in un’impresa ardua e difficile, spesso disattesa nel linguaggio cinematografico: riportare in immagini quello che in maniere eccelsa era riuscito a fare lo scrittore giapponese, parola dopo parola nel libro. Ovvero trasmettere e sublimare il concetto di “esattezza”.

Il film ruota attorno alla figura di Mr. Stevens, il maggiordomo di Darlington Hall, dedicato a essa e a proprio padrone, tanto da dimenticarsi persino di vivere, obbligandosi a lasciar implodere tutti i propri sentimenti perché troppo occupato a servire. La forza del film è quella di essere riuscito per lunghi tratti a riportare in immagini forti e decise l’essenza che permea tutta l’opera attraverso il personaggio di Mr. Stevens. Ciò che si potrebbe definire “l’elogio dell’esattezza”.

Il protagonista, nel libro, non dice mai “io penso”, quanto piuttosto “mi viene dato da pensare”. Non emerge mai in prima persona, non si espone e non prende una posizione. Se interpellato, dice semplicemente: “Ero troppo occupato a servire per capire quei discorsi”.

Il momento e la scena in cui Ivory concentra, con la potenza delle immagini, la forza di questo modo di essere è una di quelle immagini sublimi che ti si fissano per sempre nella retina. Di chi ama il cinema e il racconto in generale. Interno giorno, tavola imbandita, opulenta e perfetta. Mr. Stevens arriva fugace e leggero e con un righello di legno misura la distanza di ogni bicchiere dal tavolo, uno ad uno. Misura, verifica, corregge, anche solo di pochi millimetri, un nulla. É in questo gesto millimetrico “esatto” che si concentra tutta la forza dal personaggio, forte come un pugno nello stomaco.

Tutto ciò è la celebrazione dell’esattezza e Mr. Stevens ne è il suo sacerdote: lui è esattezza. La stessa esattezza che gli ha fatto dimenticare di vivere e, allo stesso tempo, gli ha permesso di costruirsi addosso uno scudo dalla vita e dagli affetti. Si è nascosto dietro fiumi di parole, ad esempio sul miglior modo di far risplendere l’argenteria.

Mai nascondersi dietro le consuetudini

Il dovere, la responsabilità di essere esatti, il nascondersi dietro al ripetere pedissequamente il proprio quotidiano parcellizzato in innumerevoli piccole mansioni è il lago in cui si rischia di annegare se non si accetta la sfida dell’innovazione. Alcune aziende tendono a mimetizzati dietro la tranquilla trincea del quotidiano non scegliere, “mi viene dato da pensare”, invece di abbracciare il cambiamento e innovarsi.

Cosa possono fare quindi? Qual è la scommessa sulla quale poter fare leva per emergere da quest’apparente impasse? Una risposta su tutte: l’intelligenza artificiale.

Questa nuova tecnologia e il suo sviluppo, unita alla necessità di ripartire e di ricostruire dopo uno shock che ha messo in percolo il mercato e il mondo come lo avevamo pigramente inteso fino a pochi anni fa, ha dato il via a una rincorsa così veloce all’intelligenza artificiale da far quasi paura.

L'intelligenza artificiale come leva per abbandonare la comfort zone

La trasformazione digitale, la moltiplicazione dei dati e la possibilità di accedervi e interpretarli con facilità grazie all’ausilio di sistemi analitici, hanno dato il via a una machine revolution. I sistemi di intelligenza artificiale, programmati con algoritmi avanzati, sono passati da “servitori” e elementi passivi, ad apprendere e a imitare in maniera sempre più audace e veloce il comportamento e il ragionamento umano. Tutto ciò ci pone davanti a sfide inimmaginabili, che fino a poco fa sembravano appartenere ai libri di Philip Dick o Isaac Asimov: uomo vs macchina.

Attività routinarie, che non prevedono una forte imprevedibilità e/o un fattore relazionale preponderante, potranno essere sostituite da soluzioni di cognitive computing, realizzate da robot. Questo accadrà in maniera trasversale su tutti i mercati, dal banking al manufacturing, dall’healthcare all’energy, dalla logistica all’agricoltura.

La sfida da affrontare riguarderà i cambiamenti che andranno a impattare sul mondo del lavoro. L’etica del lavoro che verrà, la sfida del nuovo millennio, sarà evitare la trasformazione in moderni Capitani Ludd, volti a demonizzare e distruggere le “orribili” macchine. Al contrario, dobbiamo imparare a abbracciare il cambiamento, reinterpretando la realtà e reinterpretando se stessi.

Le aziende che governeranno al meglio queste sfide saranno in grado di andare oltre, di esplorare nuove opportunità date dall’intelligenza artificiale. Chissà se la risposta possa essere proprio questa: demandare alle macchine intelligenti il compito di trasformarsi in Mr. Stevens digitali, e liberare l’uomo dal quotidiano, tanto da far emergere e dare valore alle sue caratteristiche uniche ed inimitabili: creatività, ingegno e umanità. La vera sfida di domani sarà abbandonare i panni comodi da “maggiordomi quotidiani” e reinventarsi, innovare, innovarsi.

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Federico Aguggini

Account Executive

After 15 years of experience in global companies, Federico has developed a huge experience in the finance market. Since he joined SAS, Federico has been focused on projects for the banking industry about digital transformation, CRM, customer journey and digital payments. His work is based on the "Uberization" concept, a new way of create value for the customers by combining innovation and realistic solutions, always in a data-driven approach. In addition, he is passionate about Asia, cInema, theater, music, arts and backpack travels.

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